
E così avvenne che un bella mattina del 2015 i giornali di tutto il mondo gridarono ai quattro venti che l’omeopatia è incapace di curare una qualsiasi malattia con risultati statisticamente superiori al placebo.
A sancirlo era stato il National Health and Medical Research Council australiano in un’importante revisione degli studi in materia.
Paul Glasziou, coordinatore della review, si era sornionamente allungato sulla sua poltrona mentre aveva affermato a occhi socchiusi: «Ci saranno persone convinte che tutto questo sia un complotto dell’establishment per favorire altri interessi a discapito dell’omeopatia, ma speriamo vi siano anche molte persone ragionevoli che possano riconsiderare la vendita, l’utilizzo e la distribuzione di questi prodotti», e aveva concluso definendo la medicina omeopatica “un vicolo cieco terapeutico”.
Bum.
Si dà però il caso che il diavolo faccia le pentole ma non i coperchi, anche perché nella patria dei canguri mica scherzano: c’è la facoltà di appellarsi al Freedom of Information Act, una normativa che garantisce a chiunque il diritto di accesso alle informazioni detenute dalle pubbliche amministrazioni.
Per tre anni hanno provato a opporre una strenua resistenza in tutti i modi, quei buontemponi dell’NHMRC, ma alla fine hanno dovuto mollare l’osso. E che osso.
E’ stato infatti possibile venire a scoprire che la stessa prestigiosa organizzazione aveva fatto tre anni prima un’altra revisione che, ahilei, era risultata favorevole all’omeopatia al punto da dovere suo malgrado ammettere che fosse capace di “risultati incoraggianti”.
Ecco perciò che gli scienziati australiani avevano ben pensato di insabbiare tutto per fare un secondo studio cambiando, sa va sans dire, i criteri di valutazione in modo da piegare i dati nella direzione voluta. Criteri, peraltro, che non erano mai stati utilizzati in precedenza in altre revisioni e non lo sarebbero mai stati neanche dopo.
Ah, dimenticavamo di raccontare che i criteri valutativi medesimi erano stati creati dopo che le prove erano già state raccolte e valutate, con buona pace delle linee guida e degli standard scientifici di cui avrebbero dovuto essere i severi custodi, e anche del caro vecchio e mai abbastanza rispettato buon senso.
E’ stato insomma un po’ come se in una finale del campionato del mondo di calcio fossero stati cambiate le regole del fuorigioco solo al termine dell’azione, gettando così nella costernazione
nugoli di avventori di tutti i fumanti Bar Sport del nostro beneamato stivale.
Ah, dimenticavamo anche che è saltato fuori che Peter Brooks, il presidente del comitato del National Health and Medical Research Council che aveva effettuato il secondo studio
aveva fantozzianamente asserito il falso affermando in un documento preliminare di non essere affiliato o associato con alcuna organizzazione che abbia interesse a favore o contro la medicina omeopatica, quando invece era membro di una lobby denominata “Amici della Scienza in Medicina”
(quando si dice l’ironia delle parole).
Uh, pure una terza cosa abbiamo dimenticato (ce ne sono troppe, in questo divertente aneddoto):
il famigerato NHMRC ha fatto queste ammissioni in un’audizione giurata al Senato.
Quanti clamorosi autogol in una volta sola, per un’organizzazione alle cui mani era stata affidato il compito di giudicare gli studi sulla seconda medicina più diffusa al mondo.
E vabbè, facciamocene una ragione.
Del resto Voltaire diceva: “E’ pericoloso toccare gli idoli: rimane la doratura sulle mani”.
Link possibili
https://blogs.bmj.com/bmj/2016/02/16/paul-glasziou-still-no-evidence-for-homeopathy/
http://www.nhmrchomeopathy.com/conflicts-of-interest.html
https://www.hri-research.org/resources/homeopathy-the-debate/the-australian-report-on-homeopathy/