Ho conosciuto Eric parecchi anni fa tra le colline di Parma, accompagnando il Dott. Massimo Bertani nel suo lavoro di omeopata veterinario. Da subito la sua visione dell’omeopatia mi sembrava alquanto bizzarra, ma la dimensione umana e professionale di Eric, unita alla curiosità di capire il suo approccio omeopatico, mi hanno portato ad incontrarci varie volte. Ricordo con piacere una lunga chiacchierata a casa della Dott.ssa Antonella Carteri dopo un impegnativo e interessante seminario tenutosi a Verona nel 2001. Dopo quell’incontro, ne sono seguiti altri nella sua clinica a Tervuren, piccola cittadina nei pressi di Bruxelless, durante i quali abbiamo condiviso la passione ma anche la difficoltà di utilizzare l’omeopatia unicista negli animali.
La primavera scorsa sono tornato a visitare Eric. Assieme abbiamo discusso della ‘visione’ omeopatica del rapporto tra animale e uomo e come il veterinario omeopata potrebbe, e forse dovrebbe, tornare a riflettere sul senso pedagogico che l’omeopatia vuole trasmettere. Ne è nato un colloquio stimolante, come sempre succede quando c’è Eric. Nell’ultima visita con lui ho ripercorso le tappe più significative della sua storia personale e della sua professione. Tappe che, prima attraverso lo studio e la comprensione, lo hanno portato ad esercitare l’omeopatia sugli animali fino a trasmetterne non solo il significato curativo ma anche quello umanistico ed esistenziale.
David: Come ti sei avvicinato all’omeopatia?
Eric: All’inizio, appena laureato, per me era bellissimo lavorare con gli animali. Coronavo un sogno. In quegli anni c’era tantissimo da fare e c’erano molti clienti. Ma dopo un breve periodo di lavoro, circa due anni, mi sono ammalato di glomerulonefrite. I medici mi diedero pochi anni di vita e stavano addirittura ipotizzando di rimuovere il rene malato.
Sin da bambino avevo rifiutato le medicine e anche questa volta decisi che dovevo trovare e provare una alternativa. Cominciai a farmi curare con l’agopuntura. E fu così che mi avvicinai alle medicine energetiche, alle medicine non convenzionali, tra cui l’omeopatia. Subito ebbi la consapevolezza di ciò che volevo intraprendere e mi iscrissi a ben tre corsi di Medicina Omeopatica, in scuole francesi e belghe. Questa era la misura della mia sete di curiosità. Ero convinto già da allora che le malattie venissero dalle frustrazioni. E capii che la mia frustrazione veniva dal fatto che avevo imparato una medicina e un approccio terapeutico che entrava in conflitto con ciò che io credevo del concetto di salute e di cura. Vedevo costantemente l’impatto che avevano le cure convenzionali sui miei pazienti: trattavo animali per banali dermatiti con antibiotici, cortisonici, antimicotici e dopo un paio d’anni tornavano con grossi problemi di salute, spesso con malattie tumorali. E mi chiedevo il perché potesse succedere questo e quanto il mio operato incidesse sulla salute dei miei pazienti.
Oggigiorno nessuno pensa di poter vivere senza l’utilizzo di medicine. Si delega la propria salute al farmaco. E questo non è un processo di consapevolezza, ma di deresponsabilizzazione. Mi resi conto di questa follia e di conseguenza non voler più stare dietro a tutto questo.
Per me fu un passo molto importante, sia dal punto di vista esistenziale che professionale. Fu il passaggio da bambino ad adulto, all’adulto che determina le proprie regole e le segue al di la dei giudizi degli altri. Sai, sentii che per motivazioni personali e culturali seguivo regole degli altri. Con il rimedio omeopatico feci il salto che mi portò a dire: devo farmi le mie regole.
David: e che ruolo giocò l’omeopatia in tutto questo?
Eric: è semplice!!! All’inizio presi Lycopodium per la codardia di non voler affrontare le mie responsabilità. Poi Nux-vomica per il super lavoro, alla quale seguì Staphysagria per le ferite e le vessazioni di una scelta così importante. E poi Sulphur perché stava finalmente lavorando la psora. Fu il dottor Nicolas Teuran, un caro collega veterinario a dirmi di prende il rimedio omeopatico. Mi disse che con il rimedio avrei avuto la possibilità di guardare in profondità me stesso. Perché l’omeopatia è questo: è informazione che si manifesta in sintomi. Di per se l’omeopatia non cura, ma induce un processo di cura. Noi veterinari e medici in generale pensiamo di avere la soluzione ai problemi di salute dei nostri pazienti. E crediamo che il rimedio, se usi l’omeopatia, o il farmaco, se utilizzi la medicina tradizionale, o qualsiasi altro sistema terapeutico siano davvero questa soluzione, l’atto finale. Invece dobbiamo pensare che il nostro ruolo è quello di avviare la soluzione, di avviare l’organismo verso la guarigione. In realtà siamo uno strumento, siamo una informazione che indirizza un processo coerente che si compirà nel nostro paziente. Questo è un concetto totalmente diverso, direi anche antitetico, dall’uso odierno e consueto del farmaco e della sua prescrizione.
David: sono concetti e visioni che condivido in pieno. Ma c’è chi non è abituato a sentirsi protagonista e responsabile della propria salute e malattia. Per chi non parla la lingua dell’omeopatia spesso queste considerazioni portano solo molta confusione e forse sono un motivo per rifiutarla, allontanarsene…
Eric: hai toccato un tasto dolente che va al di la delle evidenze scientifiche dell’omeopatia. La gente non si cura con le evidenze scientifiche, ma con ciò che la fa stare meglio. E questo è un grosso nodo anche nel mondo veterinario nel quale le cure sono responsabilità e decisioni dei conduttori (proprietari, allevatori…, ndr.). Come ti ho detto l’omeopatia è informazione che si manifesta in sintomi. Questo già di per se è evidenza. Noi omeopati lo vediamo tutti i giorni. E mi verrebbe da chiedermi perché deve difendere e lottare sempre per ciò che è già evidente…
Ma non è così per tutti. Ed è per questo che dobbiamo fare della pedagogia omeopatica.
David: che cosa intendi con questo concetto ‘pedagogia omeopatica’?
Eric: io scrivo molto perché ho capito che non è sempre facile farsi capire a parole dalle persone. Le persone sono immerse in una certa concettualità della vita e non sono sufficienti poche parole e un rimedio omeopatico per dare inizio ad un nuovo processo di consapevolezza. Scrivendo mando dei messaggi e dico semplicemente: questo modo è omeopatico, quest’altro no. Poi sarà una decisione personale se seguire o no questi concetti. Ma è importante che siano messi a disposizione. E noi veterinari possiamo giocare un ruolo importante per trasmetterlo.
Io dico sempre ai miei clienti che l’ambiente è parte della malattia. E l’ambiente sono anche loro, il loro modo di condurre l’animale. Ma il cliente non si vuole sentire dire questo. Lo vive come un affronto perché molte volte l’animale rappresenta esigenze personali profonde e intime. E con l’esperienza ho capito che non si deve convincerlo di questo, ma si deve poter avviare un processo di consapevolezza. È la psora che deve lavorare!
David: come suggeriresti di attuare questo processo?
Eric: sul piano ideale, come uomo e come veterinario, ti direi che vorrei ricreare l’Arca di Noè. Quello dell’Arca di Noè è un gran messaggio. A mio parere per sopravvivere dobbiamo essere capaci di creare parti dove differenti animali possano vivere nuovamente assieme e dove l’agricoltura possa essere diversificata. Perché è questo che ci insegna l’omeopatia. Invece il mondo va da tutt’altra parte: ci sono allevamenti di maiali, allevamenti di vacche, allevamenti dove convivono migliaia di polli, ci dicono che cani e gatti devono stare separati. Tutto deve essere separato. Questo modo di agire è la pura aberrazione della naturalità delle cose. Nulla nel mondo è separato, tutto convive, tutto è olistico.
David: mi viene in mente che ora parliamo di globalizzazione… ma non credo proprio ci sia una visione davvero olistica in questo termine.
Eric: il concetto di globalizzazione mi sembra soprattutto legato agli aspetti economici e di esportazione o importazione di vantaggi e privilegi economici, non certo culturali… Come veterinari dobbiamo vedere i grandi errori che l’umanità sta facendo sugli animali. Molti di loro vivono solo per un mero motivo economico e non perché sia stato richiesto così.
E qui che entra in gioco la pedagogia omeopatica. Sento il dovere di comunicare questo ai miei clienti.
Vedi, se siamo davvero dottori abbiamo lo compito di riportare la salute nell’ammalato e di perseverare nella salute. E per fare questo dobbiamo capire quali elementi ci sono in gioco. Ho visto che molte volte il solo rimedio è sufficiente a portare una guarigione temporanea nell’animale. Perché succede questo? Credo che animali e piante non abbiano la psora primaria. Dipendono molto dall’ambiente in cui vivono. Quindi, in realtà, non avrebbero nemmeno bisogno di un rimedio, ma basterebbe modificare, variare la loro conduzione, l’ambiente, rispettando e ripristinando le loro attitudini. Se prendi le cose sotto questo punto di vista, la prospettiva cambia radicalmente perché entri nel concetto olistico della vita e delle sue relazioni e interconnessioni. Capisci che non è più il tuo cane che si ammala, ma è l’insieme animale-uomo-ambiente che porta alla malattia il tuo amico a quattro zampe.
Nei cani ci sono molte razze diverse. E’ un processo di adattamento che è durato secoli. I cani si adattano, come è descritto nella Materia Medica di Lac-caninum, ma non si può pretendere che il DNA si adatti al comportamento. Molti cani a mio parere si ammalano perché subiscono una frattura tra il loro comportamento e la loro attitudine specifica, che è determinata geneticamente. Non si riconoscono più e si ammalano. Il Terranova non correrà mai dietro al bastone che il proprietario lancia per farselo riportare, perché non lo riconosce. E’ un messaggio che non riconosce. Il Terranova sono geneticamente specializzati (genotipo, ndr.) per salvare le persone in acqua e se non attuano questo comportamento (fenotipo, ndr.) si ammalano. Subiscono informazioni errate. E queste informazioni, come l’informazione del rimedio omeopatico, portano a conseguenze.
Un altro esempio che ti posso fare riguarda i cani da caccia. Sono razze molto specializzate: ci sono cani da tana, da riporto, da traccia, da punta… la loro genetica induce a comportamenti ben precisi e codificati. Se tu provi a lanciare un bastone ad un cane da caccia, lui è già alla ricerca anche se il bastone ce l’hai ancora in mano, anche se fai finta di lanciarlo. Questo è perché si curano della preda. E non ti devi preoccupare neppure se un cane da caccia ‘non fa la guardia’ oppure se non vuole mai tornare a casa anche se lo chiami mille volte. E’ preposto a questo tipo di comportamento! Non dobbiamo stupirci se il nostro Segugio (razza da caccia, ndr.) si ammala di tumore a 5 anni anche se lo abbiamo trattato come un re, se ha dormito sul divano, se lo abbiamo coperto con il capottino nelle giornate umide, se gli abbiamo dato da mangiare le crocchette più buone che sono in commercio. Lui si è ammalato perché per 23 ore al giorno aspettava di andare a rincorrere e riportare le prede cacciate. E questo vale anche per il Terranova di prima che magari è costretto a riportare il bastone centinaia a di volte. Questo cane è dentro una sorta di autismo. Il comportamento autistico (sicosi), che è uno dei tanti modi per risolvere i problemi, porta l’animale ad ammalarsi. Questo è il paradosso di cui siamo testimoni e di cui dobbiamo essere pedagoghi nei confronti dei proprietari.
Durante una delle visite in Belgio, il Dr. David Bettio accompagna la Dott.ssa Raffaella Pomposelli – Direttrice della Scuola di Medicina Omeopatica di Verona – a conoscere il collega Omeopata Veterinario Eric Vanden Eynde nel suo studio di Tervuren (Belgio). Il Dr. Vanden Eynde tornerà a Verona dopo 7 anni come relatore al Congresso Nazionale FIAMO di Medicina Omeopatica che si terrà a Verona il 21-22-23 Novembre 2008.
Alcune foto della giornata trascorsa in compagnia di Eric
Nello studio con il Dr. Vanden Eynde
il Dr. Vanden Eynde con il Dr. David Bettio e la Dott.ssa Raffaella Pomposelli
Eric nello studio di Tervuren con la delegazione della Scuola di Medicina Omeopatica di Verona
Armadietto Omeopatico nello studio del Dr. Vanden Eynde
Farmacia Omeopatica del Dr. Vanden Eynde